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in questo numero:
| un paese incomprensibile il kenya è un paese caratterizzato da profonde contraddizioni, che appaiono tanto pià inspiegabili quanto più 'occidentale' è l'occhio dell'osservatore... | | il ghepardo claudia nyahururu si trova sull'equatore, ma a differenza di quello che ci si potrebbe aspettare non fa caldo per niente. infatti il paese è a 2.400mt di altitudine... | | le dune dorate di lamu per andare a lamu sia le guide sia le agenzie kenyote sconsigliano di utilizzare autobus o mezzi privati (solo aereo); nella zona infatti, oltre ad episodi di banditismo... | | matatu glossario della lonely planet, voce matatu: "minibus con musica ad altissimo volume, capienza apparentemente illimitata e due velocità - fermo e a tavoletta"... | | |
UN PAESE INCOMPRENSIBILE novembre 2005
| | | | | La baraccopoli di Kibera, Nairobi | | Il Kenya è un paese caratterizzato da profonde contraddizioni, che appaiono tanto pià inspiegabili quanto più 'occidentale' è l'occhio dell'osservatore. E' un paese dove è assolutamente naturale essere ammazzati per motivi tribali o vedere la propria terra confiscata (se non bruciata) da qualche forza di polizia al soldo di questo o quel candidato politico. Dove la delinquenza dei ragazzi di strada delle baraccopoli di Nairobi si contrappone al profondo senso di rispetto all'interno della banda di teppistelli, che si proteggono tra di loro e condividono tutto, con un senso di solidarietà che sembra impossibile tra persone che comunque sanno che probabilmente domani non mangeranno. Dove l'opera dei vari missionari (di tutte le chiese possibili) da una parte sconvolge per la dedizione di queste persone che affrontano in prima fila difficoltà assurde pur di accendere la speranza in miriadi di bambini orfani o figli di genitori disastrati, violenti; dall'altra fa nascere dei dubbi sul ricatto spirituale che alla fine ci sta dietro: ti do da mangiare, in cambio tu pregherai il mio dio...
| | | | | Backstreets di Nairobi, le strade dove non passano i turisti | | Un paese dove per non alimentare nuove forme (subdole) di colonialismo si cerca di rendere la popolazione protagonista del miglioramento, e poi si scopre che gli assistenti sociali rubano i materassi mandati dall'Italia per fare in modo che la schiera di bambini che hanno a casa non dormano ammassati sul pavimento lercio: scandalizza, forse, ma non hanno diritto anche i figli dell'assistente sociale ad un materasso, magari da condividere in dieci? E ci si scandalizza per la pratica, diffusissima, dell'escissione sulle bambine: ma troveranno mai un marito se la loro madre, 'illuminata', non le sottopone a quella che tutte le donne occidentali considerano una barbarie? Così come viene spontaneo 'sgridare' le suorine di un ospedale di campagna, che ricevono l'attrezzatura medica da volontari italiani, e dopo aver lavato il bisturi lo mettono ad asciugare sul prato: ma sarà poi una cosa così drammatica in una realtà dove le donne partoriscono lungo la strada per raggiungere l'ospedale, o che comunque poche ore dopo aver partorito tornano nei campi a lavorare?
| | | | | Venditrice ambulante, Nyeri | | Di una cosa mi sto convincendo: non basta avere la mente libera da pregiudizi (cosa peraltro tutt'altro che facile) per capire questo Kenya, a volte è necessario proprio mettere da parte dei principi che a noi appaiono imprescindibili (come il rispetto per la donna, la cura dei bambini, il valore della vita) per potersi spiegare tutte queste contraddizioni. E qualsiasi posizione assuma l'osservatore bianco-pancia-piena rischia, nella migliore delle ipotesi, di trasformarlo in un nuovo colonizzatore. Forse è molto più saggio accettare la sensazione di 'impotenza' che tutto ciò comunica, e magari farsi qualche domanda in più rispetto all'origine dei nostri credo imprescindibili.
IL GHEPARDO CLAUDIA novembre 2005
| | | | | Le Thomson's Falls, Nyahururu | | Nyahururu si trova sull'equatore, ma a differenza di quello che ci si potrebbe aspettare non fa caldo per niente. Infatti il paese è a 2.400mt di altitudine, e soprattutto la sera e la mattina calze scarpe e maglione pesante sono obbligatori. Faccio colazione nel giardino di un lodge affacciato sulle Thomson's Falls; decisamente meglio la colazione che le cascate! Una pagina della guida del Kenya attira la mia attenzione: si parla di un campeggio in posizione panoramica sulla cima di una collinetta, a poche ore di matatu da Nyahururu: decido che sarà la mia prossima tappa. Il matatu parte da Nyahururu come al solito stracolmo di persone; la signora di fianco a me, ma sarebbe meglio dire 'in braccio' a me, sta mangiando un untissimo chapati (una specie di crepes), sono proprio curiosa di sapere dove butterà il sacchetto quando avrà finito... detto fatto, appallottolato e lanciato dal finestrino del matatu in movimento. Ogni volta che assisto ad una scena del genere mi viene spontaneo reagire e segnalare come sia possibile anche conservare la propria spazzatura fino a che non si trova un cestino, ma di cestini in effetti non è che se ne trovino così tanti e poi qui hanno ancora il problema di non morire di fame, come glielo spiego che se continuano a considerare la campagna un immondezzaio prima o poi si troveranno sommersi dalla spazzatura e nessun turista verrà più da queste parti? E quindi, come tutte le altre volte, mi rimangio il pensiero e sto zitta. Da quello che ho letto sulla guida la strada dovrebbe essere buona (addirittura asfaltata) fino a Rumuruti, e da qui qualche km di sterrato, nella direzione di Maralal, nord del Kenya e terra di turkana e samburu. Già a Rumuruti mi accorgo, dagli abiti della gente, che qui le tribù dominanti non sono i 'civilizzatissimi' kikuyu o luo o meru: i ragazzi vestono con le tuniche rosse (caratteristiche anche dei maasai), sono addobbati con ogni genere di monile fatto con perline colorate, portano tutti il caratteristico bastone di legno levigato (che nella tradizione serve per scacciare eventuali animali feroci che li attaccano quando sono in aperta campagna). Le donne invece, ovviamente molto schive come in tutte le zone rurali del Kenya, sono avvolte da molti strati di parei colorati, e viene spontaneo chiedersi come facciano a non sudare vista la temperatura (la strada da Nyahururu è tutta in discesa).
| | | | | La torretta del campeggio | | Proseguendo oltre a Rumuruti, in effetti il cambio di condizione della strada si sente. Il matatu è, incredibile a dirsi, ancora più pieno, e non solo di persone, anche di altri oggetti e qualche gallina... ogni scossone è una zuccata contro il soffitto! Per giunta, devo 'stare attenta' perchè, benchè abbia avvertito il controllore che devo scendere al campeggio, vorrei essere sicura che non se ne dimentichi. Ad un certo punto il matatu si ferma, tutti i passeggeri posti tra me e l'uscita si spostano e mi lasciano passare. Riesco ad estrarre il mio zainetto dal groviglio, mi guardo in giro, e non vedo assolutamente nulla. Allora, forse di risposta, il controllore mi dice che per raggiungere il campeggio devo proseguire lungo un sentiero che parte dalla strada e si dirige (questo sembra un buon segno) su una collina. Quando il matatu riparte mi accorgo che a parte quel sentierino ed una specie di bottega, chiusa, intorno a me ci sono solo acacie ed immense euforbie. In cima alla collinetta trovo effettivamente il campeggio, ma è tutto deserto... beh, non c'è problema, aspetto, qualcuno arriverà. Noto che nel punto più alto della collina c'è una torretta di legno, accessibile attraverso passaggi mobili chiaramente dissuasivi nei confronti degli animali. | | | | | Edward | | Quindi, se c'è una torretta del genere, significa che ci sono animali pericolosi nei dintorni! La torretta diventa il mio rifugio, e nelle tre ore che passo là sopra penso che alla peggio posso anche dormirci, anche se l'idea non mi attira moltissimo visto che di notte farà sicuramente molto più freddo che in pieno pomeriggio. Penso anche che forse sarebbe più furbo andarsene, anche se non saprei dove andare, almeno nei dintorni, e soprattutto passeranno altri matatu da ora al tramonto? All'improvviso compare una persona: una ragazza americana che è qui per fare uno stage di veterinaria, e che mi assicura che il campeggio è in funzione, che ci sono tre iene cinque elefanti tre ghepardi e, forse, un leone, e che se non ho ancora incontrato nessuno è solo perchè è l'ora di pranzo. Infatti, poco dopo arriva Edward, un mezzo samburu mezzo turkana che lavora come tuttofare al campeggio; in questo periodo è anche il gestore del posto, dal momento che il proprietario (un mzungu, uomo bianco, di cui Edward non conosce la nazionalità... dopo 10 anni che lavora per lui!) è in vacanza. Edward mi affitta una tenda, compresa di materasso lenzuola e coperte. Nei dintorni, visita ad un villaggio samburu (per la 'modica' cifra di 5.000KShs, ossia circa 70€), safari in cammello. Dalle sue parole intuisco che non è molto d'accordo con la gestione del mzungu.
| | | | | Con Claudia | | Dopodichè, mi presenta a Claudia: un ghepardo addomesticato, salvato da morte certa (in quanto la madre è stata uccisa appena i due piccoli sono nati) insieme al fratello; il fratello non sopravviverà alle cure degli uomini, ma Claudia sì, ha ormai 5 anni e... è l'unico esemplare di ghepardo 'grasso' che io abbia mai visto! Un po' mi rattrista pensare che questo bell'animale, così fiero, se ne gironzoli con un collare per il giardino del campeggio, d'altra parte non esisterebbe più se quei bianchi non si fossero presi cura di lei! Rimane il fatto che posare per una foto di fianco ad un ghepardo e farsi accarezzare il braccio dalla sua lingua ruvida mi impressiona molto! Invece Edward ha appena vissuto una brutta esperienza con Claudia: scappata, è andato a riprenderla ma nella foga di sistemarla sul cassone del pick up ha preso una gran botta con il torace sul bordo. LE DUNE DORATE DI LAMU dicembre 2005
Per andare a Lamu sia le guide sia le agenzie kenyote sconsigliano di utilizzare autobus o mezzi privati (solo aereo). Nella zona infatti, oltre ad episodi di banditismo, ultimamente ci sono stati un po' di problemi tra la popolazione locale ed i finanziatori di un nuovo parco naturale in progetto. A Malindi però vediamo molti autobus in direzione nord, e tra l'altro non partono in convoglio scortato (quindi forse è un momento tranquillo!) e decidiamo di tentare. | | | | | Villaggi di capanne tra Malindi e Lamu | | Costo ragionevolissimo (meno di 4€) per i 250km di tragitto, e promessa di arrivare a destinazione entro e ore e mezza... questo sembra improbabile ma staremo a vedere. Prima della partenza chiedo ad un ragazzo tra i mille che si affollano intorno ai finestrini se mi va a cmperare il giornale (e gli anticipo i soldi). Ho sentito che il presidente Kibaki, dopo aver dimesso tutti i ministri come risposta al suo insuccesso nel referendum del 21 novembre (in cui proponeva una nuova costituzione) ha nominato il nuovo parlamento e sono curiosa di leggere gli articoli e soprattutto la vignetta del Daily Nation. Comunque, il ragazo sparisce, dopo un quarto d'ora vado dal controllore che ritarda la partenza redarguendomi sulla mia ingenuità... nel frattempo il cappello rosso del ragazzo spunta ma spiacente, ho cercato ovunque il giornale di oggi è esaurito! Passiamo da un paesino dove vendono, sempre dai finestrini, non i soliti pacchetti di biscotti noccioline anacardi ma anche spiedini di nyama choma (carne alla griglia) insaporiti con le spezie della costa e fumanti... beh ci saranno 40°!
| | | | | Lungomare di Lamu | | Arriviamo a Mokowe esattamente dopo 3 ore e mezza da Malindi. Estraiamo gli zaini (che nel frattempo sono stati opportunamente infarinati) dal bagagliaio. Cambiamo un paio di traghetti visto che il primo, tutto bello carico di donne nere velate qualche ragazzo vestito bene e ovviamente miliardi di ragazzini, non si è messo in moto. Dai veli delle donne spuntano solo gli occhi: si riconoscono quelli svegli delle ragazzine che parlano con i turisti offrendo loro tatuaggi all'henna. Finalmente attracchiamo a Lamu. Siamo circondati da isole di mangrovie. Nel paese di Lamu ci si muove principalmente su due vie, attraversate dai canaletti laterali per l'acqua: se si vuole arrivare al lungomare, basta seguire il verso dell'acqua, e si incontra prima la Kenyatta Rd. | | | | | Spettacolo di piazza con bastoni | | Ci sono i cafè ed i negozi frequentati dai locali, ma non solo; nelle strette stradine si formano ingorghi di asini carichi, e ci si orienta in base alla piazza del forte dove c'è anche il mercato e il giornalaio (ha il numero del giorno prima, quindi riesco a recuperare il numero esaurito!). Alla sera si anima, e compaiono rosticcerie all'aperto dove si trovano polpette samoza (triangolini di pasta ripieni) di carne pesce o vegetali e pesce secco: è il cuore del quartiere delle case di pietra, la vecchia Lamu con la classica architettura swahili, umidità compresa. Proseguendo verso il mare (qui quasi tutte le stradine sono buie!) si giunge alla passeggiata, molti hotel tutti con fantastica terrazza da stelle cadenti e ristorantini, e poi cafè che trasmettono le partite di coppa: sono i ritrovi più di moda tra i locali. Il porto è un molo a T e un nugulo di dhow (le barche a vela triangolare di questo tratto di oceano indiano) attraccati.
| | | | | Lasciate solo le orme! | | Il lungomare prosegue fino a Shela, su un estremo dell'isola, e si può percorrere quasi tutto all'asciutto sia con l'alta sia con la bassa marea. Uscendo dal paese di Lamu si incontrano, finiti gli ambulanti che vendono i frutti del baobab, capanne sugli alberi, capitani di dhow in cerca di clienti, il generatore rumorosissimo che serve tutta l'isola, le prime ville e residenze per vacanza, fino ad arrivare a Shela, villaggio tanto bello quanto poco tradizionale: la cura della pulizia e dell'ordine contrastano con i muri pezzati di umidità di Lamu. Proseguendo dopo Shela si esce dal canale formato dalle isole di Lamu e Manda, e ci si trova in una spiaggia a mezzaluna di 12km tra oceano indiano e dune di sabbia bianca che si indorano al tramonto, punteggiate di acacie e altre piante spinose. | | | | | Asinello | | Se si raggiunge la sommità delle dune è possibile vedere contemporaneamente i tetti del villaggio di Shela, Lamu ed un mare di vegetazione nell'interno dell'isola. Quando sei in un posto come questo, viene davvero la voglia di lasciare solo le proprie orme. Qui non è ancora arrivata neanche la marea di spazzatura e sacchetti di plastica che i kenyoti abbandonano ovunque. Scattati milioni di foto, al ritorno verso Lamu una sera incontriamo un militare (nel punto più alto c'è un'antenna con posto di guardia) molto affabile ci chiede di cancellare l'unica foto scattata all'antenna. Potere della digitale! Un po' di tempo fa un incontro del genere sarebbe finito con la consegna del rullino (e la perdita degli ultimi giorni di foto)! Su tutta l'isola circolano soltanto pochissime motociclette, e per il resto asini. Sono ovunque, sulla spiaggia melmosa di Lamu quando il mare si ritira, nelle strette stradine, tra le palme, c'è perfino una pensione per asini dove possono essere lavati e tuffarsi in pulitissime mangiatoie rosse.
| | | | | | | Hassan (a destra) sulla spiaggia di Manda | | Decorazione sulla vela di un dhow | | Captain Hassan timona il suo dhow con una precisione millimetrica che rivela la sua esperienza di aggiramento di secche e di raffiche nel canale tra l'isola di Lamu e quella di Manda. Essere pescatore, qui, non richiede pazienza: se, buttato l'amo in mare aperto, non si tirano su al volo i pesci, ci si sposta di 10mt e si riprova, tanto entro breve si trovano! Passiamo tutta la giornata in barca, con i suoi aiutanti dai nomi musulmani. Nel pomeriggio ci fermiamo sulla spiaggia dell'isola di Manda a cucinare il pescato su una griglia con sale e pepe in abbondanza. Tornati in paese, passiamo la serata con Hassan e Jalè, un originario dell'isola di Kiwayu dove ha lavorato ad un progetto ambientale di creazione di un sistema protetto (c'è una spiaggia dove vanno a depositare le uova le tartarughe!): ci vogliono un giorno di navigazione ad andare ed uno a tornare... sempre che non si preferisca l'aereo. Chiacchierando con loro sembra che i pochi giorni che abbiamo speso qui, nella pace più assoluta, svegliandosi con il sole e andando a dormire al buio, non siano sufficienti a scoprire tutte le cose meravigliose che ci sono nei dintorni, vale la pena starci un po' di più! MATATU dicembre 2005
| | | | | Decorazioni su un matatu a Nairobi | | Sul glossario della guida Lonely Planet, alla voce matatu, c'è scritto: "minibus con musica ad altissimo volume, capienza apparentemente illimitata e due velocità - fermo e a tavoletta". Il matatu è un furgoncino adibito al trasporto di persone, ed è un'istituzione in Kenya. Il suo nome deriva dal prezzo dei primi matatu in circolazione: tre monete. Estrose scritte fosforescenti che ringraziano the lord e ne ricordano qualche virtù, tendine di pizzo intorno ai vetri, musica assordante e soprattutto un numero impensabile di persone. D'accordo che sulle fiancate è indicato che trasportano 16 passeggeri e che una legge recente ne controlla il rispetto, ma questo vale fino alla periferia di Nairobi e di qualche altra città. | | | | | Tutti i bigliettai hanno una divisa color porpora | | In generale i matatu sono stracolmi, ogni volta sembra impossibile entrarvi, soprattutto con uno zaino, e dopo di te entrano sempre un gran numero di persone e sacchi immensi. Ci sono delle regole sui prezzi, ma non basta un tariffario per indicarli: bisognerebbe includere varianti tipo: pioggia o asciutto, verso la città o nella direzione opposta, strada sterrata oppure asfaltata, mese di dicembre (e quindi turismo), etc. Non sempre è facile prendere un matatu; in città, a Nairobi, nelle ore di punta è necessario aspettare anche più di un'ora (in coda ordinatissima! 'sti inglesi!). E anche dove c'è meno traffico, bisogna stare attenti a prendere quello giusto, bisogna imparare ad ignorare molti (ma non tutti) i consigli che vengono elargiti con veemenza dai ragazzini che affollano le stazioni degli autobus di tutti i paesi e villaggi del Kenya... il primo ragazzino che ti viene incontro potrebbe avere una percentuale se riesce a farti salire su un determinato mezzo, e quindi vale la pena verificare che quello sia davvero il primo in partenza, che non ti stia facendo salire su un matatu a lunga percorrenza se devi percorrere solo 10km, e così via. | | | | | Matatu | | Su ogni matatu c'è un autista ed un bigliettaio/procacciatore d'affari, che è sempre la persona seduta più scomoda. Vive attaccato al finestrino con una spalla fuori per aprire al volo il portellone a far salire qualcuno... qualche volta il portellone gli resta in mano, oppure, sistemato un po' grossolanamente, non si apre più. I due posti davanti, alla destra dell'autista, sono i più ambiti, e può valer la pena lasciar partire il matatu precedente se ci si riesce ad assicurare questa posizione su quello dopo. Anche se il posto centrale non ha il poggiatesta e si viaggia con gli addominali tesi. I bambini stanno in piedi, occupano in quattro il posto di due adulti stretti. Ci si addormenta, durante i viaggi lunghi, appoggiati alla schiena di quello davanti. In altri momenti tutti parlano: di politica, di controlli stradali, di velocità di guida, di incidenti, di pioggia.
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itinerari
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per viaggiatori che desiderino muoversi in gruppo, c'è la possibilità di aggregarsi ad una partenza programmata nel calendario delle agenzie di turismo responsabile (sul sito della cooperativa oltremare è disponibile un utile motore di ricerca con possibilità di accesso per destinazione e per data di partenza, oltre ad un elenco dei viaggi con data da definire o disponibili tutto l'anno) per coloro che invece preferiscono viaggiare da soli o con amici, ulteriori info sono disponibili contattando un operatore della djemme (il servizio offerto dalla djemme è totalmente gratuito, ed è da intendersi come strumento di promozione del turismo responsabile); non saranno pubblicati sul sito nomi e riferimenti a persone o attività tranne che nel caso dei progetti di aiuto allo sviluppo | |
progetti in kenya:
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in mali è stata aperta un'agenzia di turismo responsabile, MayaVoyage; la gestisce Souleymane Yanogue con l'aiuto di Eleonora Scabbia; organizza viaggi di gruppi, appoggiandosi ad agenzie italiane, oppure itinerari su misura per viaggiatori indipendenti
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